TAMIKREST (Mali)

Live

Ingresso: 30,00€
Minori di 30 anni: 15€ (regolamento sconti)

Streaming

Prezzo: 6,00€

FolkClub si è dotato di un sistema di purificazione dell'aria dotato di certificazioni europee di primissimo livello: il NIVEUS NV100 della NETCO, garantito per la purificazione dell'aria di una superficie di 120 mq (la sala del club è 100 mq) da qualsiasi agente patogeno, virus, allergene, batterio e micro-polvere in sospensione, grazie un filtro ULPA di grado U15 ad alta densità che blocca le particelle nocive, una camera di strerilizzazione a raggi UV-C che sterilizza tutti i microrganismi e un filtro a carboni attivi che purifica ulteriormente l'aria prima di ri-immetterla nell'ambiente. Svariati test eseguiti sul NIVEUS NV100 della NETCO presso laboratori italiani ed europei ne hanno confermato e documentato le notevoli prestazioni di purificazione e la conformità ai più elevati standard di qualità e sicurezza.
Al FolkClub la musica si può ascoltare in tutta tranquillità!!

Tamikrest in lingua tamasheq significa ‘congiunzione, connessione, nodo, coalizione’. I membri del gruppo provengono da diversi orizzonti (Mali, Niger, Algeria). Volendo assumere pienamente la loro identità Tuareg, hanno trovato nella musica il mezzo per esprimerla. Tutt’intorno alla città di Kidal, il deserto del Mali si estende in ogni direzione: secchi, aridi e interminabili orizzonti di sabbia e rocce. Questa è la parte sud-occidentale del Sahara, la casa dei Tuareg, dei quali la città di Kidal è uno dei principali centri culturali. Campo di battaglia, conquistata e riconquistata, rimane il simbolo dell’audacia e della speranza Tuareg, la casa spirituale di un popolo senza radici. È qui che i Tamikrest si uniscono per la prima volta come band. La loro musica fonde le tradizioni musicali del loro popolo con il rock e il blues, accompagnando le linee melodiche con i caratteristici youyou vocali delle coriste, mentre i testi vengono cantati in lingua tamasheq. Hanno i primi contatti con la musica durante la frequentazione della scuola Les enfants de l'Adrar nell'oasi Tinzawatène. Gran parte dei componenti del gruppo prende parte alla guerra per l'autonomia del popolo tuareg, iniziata negli anni ‘90, e alcuni loro familiari e conoscenti perdono la vita proprio durante questo conflitto. Nel 2006 decidono di deporre le armi e usare la musica come mezzo di comunicazione non-violento. Cominciano la loro carriera suonando principalmente musica tradizionale. Ma presto entrano in contatto, grazie ad internet, con artisti rock e blues che contribuiscono fortemente a plasmare la loro musica. Nel gennaio del 2008 hanno la possibilità di suonare con i Dirtmusic al Festival au désert di Essakane, e l’anno successivo partecipano alle registrazioni del secondo album del gruppo, BKO, a Bamako. È allora che Chris Eckman si rende disponibile per la produzione del loro album di debutto, Adagh, che esce nel 2010 per la Glitterhouse Records. A partire dall’uscita del loro primo disco, i Tamikrest vengono considerati i capostipiti della nuova generazione Tuareg e hanno ormai da tempo il merito di aver aperto nuove strade a cavallo tra desert blues e western rock. Dal loro debutto in avanti, mettono l’anima nella loro musica, uscita dopo uscita. Chatma, il loro terzo disco, edito nel 2013, viene acclamato come uno dei migliori album dell’anno in tutto il mondo. Songlines Magazine li ha premiati come Miglior Gruppo, mentre le loro performance live hanno mostrato al mondo una band il cui sound fa scintille. Con l’album Kidal questa fiammata si propaga! Registrato a Bamako nell’estate del 2016, prodotto da Mark Mulholland e mixato da David Odlum, Kidal  ha richiesto un lavoro di ben due anni, racconta Ag Mossa, …perché noi condividiamo le stesse difficoltà della nostra gente. E le canzoni in questo disco rispecchiano le loro gioie, il loro dolore e la loro riluttanza ad accettare le cose per come sono. Partendo dall'intensità di Mawarniha Tartit, attraverso la dolce slide guitar del secondo chitarrista Paul Salvagnac su Atwitas, fino al ruggito a sangue freddo di Adoutat Salilagh, i Tamikrest sono una band infuocata dalla passione per la loro gente e dai secoli di ingiustizia che essa ha sopportato. Le loro canzoni parlano di dignità, racconta Ag Mossa. Noi consideriamo il deserto come un luogo in cui vivere in libertà. Ma per molti è soltanto un mercato da vendere alle multinazionali, e per me questa è un’enorme minaccia per la sopravvivenza dei nostri nomadi. La band rende omaggio al luogo che li ha allevati. La loro musica è un pianto di sofferenza e un grido di ribellione. È potere e resistenza. Ho scritto la maggior parte delle canzoni mentre ero nel deserto, spiega il cantante e chitarrista lead Ousmane Ag Mossa. Ma così doveva essere: se vuoi parlare di una determinata situazione, devi viverla. La musica dei Tamikrest affonda le sue radici nella tradizione Tuareg, ma brucia di una brillante, moderna fiamma. Il mio amore è il mio paese, la mia ambizione è la libertà, canta Ag Mossa in War Tila Eridaran. Nessun essere vivente dovrebbe vivere nell’oppressione, nell’infamia e nell’eterna repressione. Questa è la musica della gente che porta avanti la sua battaglia ogni singolo giorno, e per cui l’idea di ciò che rappresenta è quasi importante quanto il luogo stesso. C’è una bellezza grezza nel rock’n’blues dei Tamikrest. È lì, nel ritmo incalzante che alimenta le canzoni, nelle linee di basso snelle e sinuose, nelle chitarre che si intrecciano intorno alle melodie e nell'unione musicale del tutto naturale del Sahel, del Maghreb e dell'Occidente. Ci si può scorgere il riflesso di influenze diverse come i Pink Floyd, Rachid Taha e il flamenco, eppure il Sahara e i suoi abitanti rimangono sempre saldamente al centro. Questa musica è stata fondata su una causa ben precisa, la causa dei Tuareg, afferma Ag Mossa, e celebra perfettamente la loro identità: quella dei guardiani di un’antica voce culturale in via di estinzione. La sostanza non cambia neanche nell’ultimo album, Tamotaït, uscito il a marzo 2020 per Glitterbeat Records. Questo quinto disco non si discosta dalle sonorità a cui il gruppo ci aveva abituato nelle opere precedenti: il rock’n’blues si mescola con la musica etnica, dando vita a un connubio psichedelico in cui le chitarre sono le protagoniste assolute. Ci sono echi di Stones, anche se sono atmosfere meditative e cariche di pathos a dominare il disco, ma non mancano reminiscenze world music che, per un istante, fanno pensare al nostro De André di Crêuza de mä . Riff ipnotici di chitarre blues si susseguono in ogni traccia e si mescolano a vocalismi berberi, creando un effetto straniante e potente sul quale si appoggiano testi che hanno il sapore del dolore e di anni di soprusi: We are the Kel Tamasheq people, becoming servants of servants / We are the people who hope for a better day. La musica di Tamotaït, che -non a caso- significa speranza per il cambiamento, è musica che nasce da un’urgenza; è musica di libertà e speranza nel futuro, e ne abbiamo bisogno anche noi.